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chioccoli.
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Le infezioni da HPV o papillomavirus sono le più comuni infezioni sessualmente trasmesse e la trasmissione può avvenire anche tramite semplice contatto nell’area genitale.
Oltre 200 genotipi individuati, più di 40 sono associati ad infezioni anogenitali e di questi circa 15 sono definiti a rischio oncogeno.
Nell’80% circa dei casi le infezioni sono asintomatiche e autolimitanti.
Le infezioni persistenti possono causare
In uomini e donne = condilomi, carcinoma anale, papillomatosi polmonare e carcinoma orofaringeo
In uomini = carcinoma del pene
In donne = carcinoma di vulva, vagina e cervice
HPV e carcinoma della cervice uterina
Prima neoplasia ad essere riconosciuta dall’OMS come totalmente riconducibile ad un’infezione (99% dei casi associata ad HPV).
Per frequenza è la seconda neoplasia, dopo il carcinoma mammario, tra i tumori che colpiscono le donne.
Il 5% delle donne positive all’HPV sviluppa il carcinoma della cervice uterina se le lesioni precancerose non vengono trattate.
I genotipi più frequentemente implicati nel carcinoma della cervice uterina sono il 16, cui viene attribuito oltre il 60% di tutti i casi, e il 18, responsabile del 10% dei casi.
L’infezione da HPV è molto frequente nella popolazione. Oltre il 75% delle donne sessualmente attive infatti si infetta nel corso della vita, con un picco massimo intorno ai 25 anni di età.
A livello mondiale, la prevalenza delle infezioni da HPV in donne asintomatiche varia dal 2 al 44%.
L’infezione persistente con HPV-HR è la condizione necessaria ma non sufficiente per l’evoluzione a carcinoma.
Tra l’infezione primaria e lo sviluppo del carcinoma passano decenni.
Epidemiologia del carcinoma della cervice uterina
In Italia (registri nazionali tumori, anni 1998-2002), mostrano che ogni anno si hanno circa 3.500 nuovi casi di cervico carcinoma (incidenza: 10 casi/100.000 donne).
In questo intervallo di tempo questo tumore ha rappresentato l’1,6% dei tumori femminili, e lo 0,6% dei decessi per neoplasia.
Il rischio di ricevere una diagnosi di tumore della cervice nel corso della vita è 6,2 per mille (1 caso ogni 163 donne), mentre il rischio di morire è 0,8 per mille.
La prevalenza dell’infezione da HPV in Italia in donne tra i 17 e i 70 anni, afferenti a programmi di screening, è del 7-16%; sale al 35% in donne con citologia anormale; per arrivare al 96% in caso di displasia severa o oltre.
Emerge quindi l’importanza di attuare tutte le modalità preventive disponibili nei confronti di un virus molto diffuso e altamente oncogeno.
Prevenzione secondaria
Programma di screening che prevede l’esame citologico cervico-vaginale o Pap-test.
Razionale per l’introduzione dello screening: possibilità di identificare lesioni neoplastiche molto precoci e lesioni preneoplastiche, fornendo uno strumento in grado di ridurre sia l’incidenza della neoplasia invasiva che la mortalità.
In Italia il Pap-test, in accordo con le linee guida internazionali, è raccomandato ogni 3 anni per le donne tra 25 e 64 anni.
L’attività di screening non è distribuita uniformemente sul territorio nazionale.
Molte donne effettuano spontaneamente il Pap-test, altre non lo hanno mai eseguito o lo eseguono in modo irregolare.
Attualmente nei Paesi industrializzati in seguito ad efficaci programmi di screening il tasso di incidenza del carcinoma della cervice uterina è inferiore a 14,5 casi per 100.000 donne e negli ultimi anni la mortalità per esso è diminuita del 30-60% nei paesi del Nord Europa e del 70% in Italia.
Prevenzione primaria
Dal 2007 sono disponibili in Italia due vaccini contro HPV, immunogenici e sicuri.
Determinano una riduzione del rischio di carcinomi cervicali superiore al 70% .
Il beneficio, in termini di protezione dall’infezione, è massimo nelle preadolescenti prima dell’inizio dell’attività sessuale.
Sulla base delle evidenze scientifiche e in accordo con le raccomandazioni internazionali, anche nella realtà italiana, i 12 anni risultano l’età più indicata per la vaccinazione.
La vaccinazione da sola non basta …
La prevenzione primaria verso l’HPV deve prevedere anche un adeguato intervento di informazione ed educazione sanitaria sulle modalità di trasmissione del virus e sui rischi legati all’attività sessuale.
Un counseling prevaccinale deve essere effettuato da operatori opportunamente formati e in grado di affrontare il tema delle infezioni a trasmissione sessuale e di prospettare un intervento i cui benefici si dimostreranno a 20-30 anni di distanza.
Elemento critico è la non accettazione di tale vaccinazione per le proprie figlie da parte di quei genitori che per motivi culturali, religiosi o di pudore non considerano le adolescenti di questa fascia di età a rischio per patologie legate al sesso.
La convinzione che l’accettazione della vaccinazione implichi il tacito consenso ad un inizio precoce dell’attività sessuale dei propri figli rende i genitori reticenti ad accettare la vaccinazione anti-HPV.
La vaccinazione anti-HPV ha efficacia ma non ha effetto curativo e non sostituisce lo screening, non previene le altre malattie sessualmente trasmesse.
Interventi di sensibilizzazione e informazione non potranno che aumentare l’accettazione alla vaccinazione.
L’unica variabile associata ad una resistenza alla vaccinazione è la scarsa conoscenza del problema.
Il successo di una nuova strategia vaccinale non può prescindere da un’adeguata informazione e formazione degli stakeholders coinvolti, da una chiara volontà politica e da un’efficiente allocazione delle risorse economiche.
Dopo che in Italia è stato deciso di offrire il vaccino a tutte le dodicenni, il Ministero della Salute ha proposto una Campagna Informativa sui mass media, purtroppo però la conoscenza sull’HPV non è aumentata e molti sono ancora i dubbi.
E voi che dubbi avete?
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